venerdì, settembre 29, 2006

Eutanasia


'...La giornata inizia con l’allarme del ventilatore polmonare mentre viene cambiato il filtro umidificatore e il catheter mounth, trascorre con il sottofondo della radio, tra frequenti aspirazioni delle secrezioni tracheali, monitoraggio dei parametri ossimetrici, pulizie personali, medicazioni, bevute di pulmocare. Una volta mi alzavo al più tardi alle dieci e mi mettevo a scrivere sul pc. Ora la mia patologia, la distrofia muscolare, si è talmente aggravata da non consentirmi di compiere movimenti, il mio equilibrio fisico è diventato molto precario. A mezzogiorno con l’aiuto di mia moglie e di un assistente mi alzo, ma sempre più spesso riesco a malapena a star seduto senza aprire il computer perchè sento una stanchezza mortale. Mi costringo sulla sedia per assumere almeno per un’ora una posizione differente di quella supina a letto. Tornato a letto, a volte, mi assopisco, ma mi risveglio spaventato, sudato e più stanco di prima. Allora faccio accendere la radio ma la ascolto distrattamente. Non riesco a concentrarmi perché penso sempre a come mettere fine a questa vita. Verso le sei faccio un altro sforzo a mettermi seduto, con l’aiuto di mia moglie Mina e mio nipote Simone. Ogni giorno vado peggio, sempre più debole e stanco. Dopo circa un’ora mi accompagnano a letto. Guardo la tv, aspettando che arrivi l’ora della compressa del Tavor per addormentarmi e non sentire più nulla e nella speranza di non svegliarmi la mattina.
Io amo la vita, Presidente. Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amico che ti delude. Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso – morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita – è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche...'



questo stralcio è tratto dalla lettera inviata recentemente da Piergiorgio Welby - un paziente affetto da distrofia muscolare progressiva - al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
La parola eutanasia proviene dal Greco: eu = buono, thanatos = morte. 'Buona morte', termine con il quale si fa riferimento all'atto di concludere la vita di un'altra persona, dietro sua richiesta, allo scopo di diminuirne le sofferenze.
L'eterno dilemma sull'ammissibilità o meno dell'eutanasia, è di difficile soluzione. I fautori della vita ad ogni costo, sono fortemente contrari alla pratica dell'eutanasia, in quanto ritengono la vita un dono e non un diritto che può essere tolto o concesso giuridicamente da uno stato. I sostenitori dell'eutanasia al contrario, difendono la libertà del singolo individuo di poter decidere di porre fine ad una esistenza non più tollerabile ed intrisa di sofferenze. La Chiesa Cattolica è - inutile dirlo - nettamente contraria all'eutanasia. In Italia l'eutanasia non è permessa, anzi, è considerata omicidio volontario.
Non esiste una divisione netta di vedute tra persone cattoliche e persone laiche: le opinioni sono diverse a prescindere da qualsiasi appartenenza religiosa. Tuttavia è indubbio a mio avviso il pesante condizionamento posto in atto mediante l'indottrinamento perpetuato dalla Chiesa Cattolica nei secoli. Non bisogna inoltre sottovalutare gli effetti della catechizzazione che - in un paese cattolico - entra in azione a partire dalla nascita di ciascun individuo. E' quasi impossibile riuscire a non esserne condizionati. Ad ogni modo, in alcuni paesi come la Svizzera, il Belgio, la Germania, la Svezia e l'Olanda l'eutanasia è permessa o tollerata. E stiamo parlando di paesi democratici e molto civili. In Italia, come già detto, l'eutanasia è illegale. Ci sono politici come Carlo Giovanardi che - quando si parla di eutanasia - esprimono il timore di un ritorno alle tesi ed ideologie naziste. A mio avviso esiste una profonda differenza tra le idee di Hitler e l'eutanasia praticabile legalmente in Olanda. Hitler sosteneva il diritto dello stato di sopprimere gli individui giudicati inguaribili da apposite commissioni mediche. In Olanda al contrario, lo stato permette al singono individuo di decidere. Nel programma di Hitler lo stato si arroga il diritto di vita e di morte su qualsiasi individuo, mentre nella civile Olanda, lo stato ascolta le ripetute richieste di coloro che decidono di porre fine ad una esistenza piena di sofferenze e senza via d'uscita. Non si sta parlando di una persona che intende suicidarsi a causa di problemi finanziari, sentimentali o altro. Qui si sta parlando di individui che non hanno possibilità alcuna di guarire. Si sta parlando di quei casi dove la medicina si arrende di fronte all'ineluttabilità della morte. La morte è un processo naturale: tentare di impedirlo ad ogni costo, accanirsi con le terapie, significa negare la naturalità della morte. Non so quanto l'essere ateo possa rendermi scevro da condizionamenti religiosi, ma il mio pensiero è limpido e cristallino: ciascuno di noi ha il diritto di decidere della propria esistenza. Ovviamente chi soffre di depressione deve essere curato, aiutato, non certo incitato al suicidio. L'eutanasia è una libertà concedibile esclusivamente a coloro che non hanno speranza alcuna di guarire, a coloro che soffrono inutilmente e nei confronti dei quali la medicina è impotente. E mentre noi discutiamo, parliamo, ragioniamo, litighiamo, apriamo dibattiti, filosofeggiamo, c'è gente che soffre...

domenica, settembre 24, 2006

Riflessioni futili...


Innamorarsi vuol dire ritornare bambini

Innamorarsi vuol dire far cose che non avresti mai pensato che un giorno avresti fatto

Innamorarsi vuol dire comunicare con gli occhi senza dover dire una parola

Innamorarsi vuol dire pensare che tutto il resto passa in secondo piano

Innamorarsi vuol dire osservare un tramonto con occhi diversi

Innamorarsi vuol dire suonare alla porta della tua donna la mattina, con una rosa in mano ed un sorriso disarmante

Il bello di un blog è che si può scrivere qualsiasi cosa che ci passa per la testa. Si tratta di una sorta di diario di viaggio, dove poter annotare degli appunti. A differenza di un sito web, il blog è un diario non indirizzato ad una platea ben specifica. Anzi, se non viene letto va bene lo stesso. L'unica differenza è che chi visita un blog può scrivere dei commenti su quanto letto. Mi ritengo una persona fortunata perché i sentimenti scritti sopra li ho provati qualche volta nella mia vita. La riflessione è sorta a seguito di alcuni fatti che mi sono capitati recentemente. Ho scoperto infatti che esistono persone che non hanno mai provato tali sentimenti. Non solo, non avendoli mai provati non li capiscono. Forse queste persone non sono realmente felici. Credo che queste persone non saranno mai realmente felici nella vita fino a quando non si renderanno conto di ciò. Nessuna vincita milionaria potrà mai dare la felicità che si raggiunge provando dei sentimenti veri. Ecco perché ripeto sempre che i soldi non fanno la felicità. Sembra una frase fatta, ipocrita e senza senso, ma sono convinto che le cose stiano esattamente in questi termini. Basta vedere la gente che vive in alcuni paesi poveri: le loro facce sono sempre allegre e sorridenti. Confrontando tali facce con quelle che incontriamo nella vita di tutti i giorni, il contrasto risulta evidente. Quelle persone hanno imparato ad apprezzare le piccole cose. Quando possediamo qualcosa, lo diamo per scontato, non apprezziamo realmente ciò che abbiamo. Quando qualcosa che diamo per scontato viene a mancare improvvisamente, solo allora capiamo quanto era importante realmente quella cosa. Il valore che si da alla vita stessa è così. Chi ha rischiato di morire e si è salvato miracolosamente ha capito queste cose perfettamente. Di conseguenza cambia il suo modo di vedere le cose, inizia ad apprezzare le piccole cose e inizia a ritenersi una persona molto fortunata. Chi ha avuto una simile esperienza comincia a dare il giusto valore alle cose importanti. Chi mi conosce bene, rimarrà sconcertato da quanto ho scritto sopra. Infatti ho sempre odiato versi, poesie e citazioni. Questo perchè non ho mai creduto che una singola frase, estrapolata da un preciso contesto, non integrata all'interno di un ragionamento, possa comunicare realmente dei concetti.